Quella fila di auto sulla ciclopedonale in via Toscana: “È un parcheggio. Asfaltato il diritto di chi arriva a scuola a piedi o in bici” – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni

Perché si continua a chiamare pista ciclo-pedonale quella che di fatto, ogni giorno, viene utilizzata come parcheggio dai tanti genitori e nonni che accorrono al suono della campanella per recuperare i propri figli e nipoti – età compresa tra i 14 e i 18 anni – fuori dalle scuole di via Toscana, decisi a tutto pur di evitare che la prole possa stancarsi dovendo percorrere un percorso più lungo dei pochi metri necessari per attraversare cortile?

Dopo che i docenti, all’interno delle classi, hanno terminato la loro lezione di educazione civica, o di diritto, magari sul senso della libertà che non può mai coincidere con l’arbitrio né con la prepotente imposizione dei propri interessi, uscendo da scuola lo spettacolo della distesa di auto che puntualmente occupano la pista pedo-ciclabile è desolante: essendo impossibile per pedoni e biciclette passare, se non rischiando di urtare le automobili o il muro, in tanti sono costretti a stare in mezzo alla strada, mettendo in pericolo se stessi e rischiando di causare incidenti nella ressa di automobili, motorini e moto (sulla strada insieme a ciclisti e pedoni esiliati dal loro percorso) che si crea immancabilmente all’ora dell’uscita da scuola.

Inutile provare a parlare con chi invade con l’auto la pista ciclabile nel tentativo di mostrargli il disagio e il pericolo che sta creando, asfaltando il diritto di quei ragazzi che sono venuti a scuola in bicicletta o a piedi e che non hanno spazio per passare e devono quindi fare lo slalom tra le auto in movimento nella carreggiata. Chi ha conquistato il suo posto sa benissimo che non dovrebbe stare lì, ma non sente ragioni: la comodità propria e dei figli prima di tutto! Al rispetto delle norme, alla sicurezza del prossimo, all’ecologia, al diritto per chi è disabile di avere spazio per poter procedere ci penserà qualcun altro!

Del resto, nessuna multa fiocca dal cielo sulle zucche di quei genitori, infestate dal “più pidocchioso dei pronomi” (l’io, nella bella definizione gaddiana), quindi? Perché preoccuparsi! Per il rischio di dare così un cattivo esempio ai propri figli? Ma no, certo che no! Anacronismo! Gli insegniamo invece proprio così a farsi valere, a farsi largo essendo più furbi: queste sì che sono le skills del futuro, mica le polverose dabbenaggini che a scuola i professori continuano a propinare ai loro alunni sul senso civico, i diritti e i doveri, il rispetto e la libertà mia che finirebbe laddove comincia quella dell’altro…L’altro! Ma l’altro chi? Figuriamoci, non scherziamo!

E se ci si rivolge al vigile che regola il traffico alla rotonda lì vicino? Sconsolato e fatalista, ti risponde che nulla può fare, in alcun modo può intervenire laddove la massa inerte dei genitori auto-muniti si è ben piazzata all’interno del tratto di strada prospiciente le scuole prima che lo stesso tratto venisse chiuso in ingresso dalle transenne. “E quindi?” domanda il ciclista o il pedone che quasi inizia a dubitare delle proprie buone ragioni di fronte alla sibillina ma apparentemente inappellabile risposta. Che cosa significa? Forse che una volta entrati nel recinto segnato dalla transenne, tutto diventa lecito? Cessa di valere qualsiasi norma? Siamo gettati al di fuori della civiltà? Vige l’homo homini lupus? Il ciclista potrebbe quindi prendere a calci l’auto che lo ostacola e l’automobilista difendersi con un colpo di portiera ben assestato, trovandosi tutti entro uno spazio libero e selvaggio in cui ha ragione il prepotente o il più forte?

In attesa di una risposta, la modesta proposta che ci sentiamo di avanzare, in accordo con il buon Wittgenstein per il quale il significato di una parola sta nell’uso, è questa: smettiamola di chiamare pista ciclabile quello spazio che ogni giorno è usato come parcheggio libero e selvaggio da genitori che pur di risparmiare la fatica di due passi in più ai loro figli, non si fanno scrupoli nell’impedire a tanti altri ragazzi e ragazze, in bici o a piedi, di poter tornare a casa in sicurezza. Chiamiamolo parcheggio.