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La nostra libertà dipende dalle tasse. Non demonizziamole #finsubito prestito immediato


Che mondo sarebbe senza le tasse? Indubbiamente, un mondo in cui non vi sarebbe spazio per lo Stato, la cui esistenza e il cui funzionamento dipendono dalla disponibilità di ingenti risorse.

Un sogno, secondo chi, come Murray Rothbard, nel vuoto lasciato dallo Stato vede l’opportunità del commercio di tutti con tutti. Nulla legittimerebbe, infatti, la produzione pubblica di beni che possono essere comprati e venduti dai privati sul mercato: sicurezza, giustizia, istruzione e salute incluse. Un incubo per chi, come Thomas Hobbes, nell’assenza dello Stato individua, all’opposto, le condizioni ideali per il deflagrare della guerra di tutti contro tutti.

I fatti, nella loro crudezza, non lasciano spazio alla visione, così romanticamente ingenua, di Rothbard. La realtà è quella descritta da Hobbes: basti considerare ciò che accade al di là delle nostre coste, nella Libia odierna. È una costante storica: tutte le volte che lo Stato viene meno, a prenderne il posto non è mai il commercio universale, ma sempre la guerra fratricida. Vale l’insegnamento senza tempo di Max Weber: lo Stato è il soggetto che, accentrando in un corpo di funzionari pubblici il monopolio dell’uso legittimo (e cioè costituzionalmente delimitato) della forza, consente, al suo interno, la pace: forse il solo valore davvero universale, a partire dal quale ciascuna collettività umana decide, poi, il significato da attribuire alla propria esistenza, distinguendo il bene dal male. Se effettivamente possiamo essere ciò che vogliamo essere è, insomma, grazie allo Stato. E perché vi sia lo Stato, si deve avere la disponibilità delle necessarie risorse. È a questo che servono, anzitutto, le tasse: sebbene, per nostra fortuna, la pace civile sia per noi un dato così profondamente acquisito da tendere a dimenticarlo.

Seguono, grazie alla Costituzione che indirizza l’azione dello Stato, i diritti. E, con essi, l’incremento delle esigenze dell’erario. A chi replica che non tutti i diritti costano, dal momento che nella gran parte dei casi per goderne è sufficiente che le pubbliche autorità si astengano dall’interferire con l’autonomia privata, si chiede un supplemento di riflessione. Consideriamo il diritto di circolare liberalmente. Si dice: «affinché i cittadini possano godere della libertà di circolazione è sufficiente che lo Stato non impedisca loro di circolare». Ma è davvero così? In realtà, se si affronta la questione scevri da pregiudizi ideologici, si comprende intuitivamente che senza la costruzione della rete stradale, la sua manutenzione ordinaria e straordinaria, l’apposizione della segnaletica verticale e orizzontale, la realizzazione di un sistema di illuminazione notturna, la regolazione della circolazione, il governo dei flussi di traffico anche tramite la creazione di un sistema di trasporto pubblico, la predisposizione di controlli di pubblica sicurezza: senza tutto questo complesso, articolato e costoso insieme di interventi nessuno di noi potrebbe realmente circolare.

Come spiegano i costituzionalisti statunitensi Stephen Holmes e Cass R. Sunstein, «anche quei diritti che in apparenza non sono diritti sociali, in effetti lo sono: si tratta di vantaggi pubblici diretti a promuovere la partecipazione di tutti coloro che sono titolari di diritti agli sforzi comuni della collettività». Per questo, aggiungono, «il costo della tutela della maggior parte dei diritti è a carico della fiscalità generale e non a carico dei contributi di coloro che se ne avvalgono». Il che significa che tutti i diritti hanno «natura inevitabilmente redistributiva», dal momento che «la redistribuzione non c’è solo quando lo Stato prende dai contribuenti per dare ai bisognosi; redistribuzione accade anche quando, ad esempio, la forza pubblica è messa a disposizione per proteggere i ricchi dalla violenza e dalle minacce della violenza». Si colloca qui la delicata questione della distribuzione del carico fiscale, la cui attuale ingiusta configurazione a beneficio dei più ricchi è la ragione profonda, anche se spesso inconsapevole, della diffusa ostilità nei confronti del fisco.

Occorre, tuttavia, tenere distinte le cose. Quel che anche i nemici del principio costituzionale di progressività (i fautori della flat tax) non possono negare è che essere nello stesso tempo a favore dei diritti e contro le tasse è un assurdo logico. Tutti i nostri diritti e tutte le nostre libertà hanno un costo: dipendono, quindi, dalle tasse. E come potremmo non elogiare ciò che ci permette di avere diritti ed essere liberi?

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